I selvaggi pianori delle valli bergamasche conservano le memorie d’un tempo in cui le erte pendici orobiche erano una fonte preziosa di naturale ricchezza, scenario di aspre contese.

Se la Val di Scalve fu un importante centro siderurgico sin dalla remota antichità (con l’importazione continua di schiavi da tutto l’impero romano) Azzone – che della Val di Scalve è la porta – concentra le proprie cronache più sanguinose sull’altopiano del Negrino, un luogo strategico, di passaggio verso la Val Camonica.

Un teatro di scontri sanguinosi, protratti per secoli.

La contesa del monte Negrino fu combattuta, tra vendette e rappresaglie, tra le comunità della Val di Scalve e Borno tra il VII e il XVII secolo.
Se rappresaglie e agguati costellano questa guerra alcuni episodi particolarmente cruenti balzano fuori dalle pagine degli annali.

Nel 1516 dopo che l’imperatore Massimiliano concesse ai bornesi di saccheggiare la Valle di Scalve, 300 scalvini fecero strage di malgari sul Negrino cavando loro lingua, occhi e denti e portandosi via gli intestini come trofeo.

Nel 1517 – la zona era entrata sotto il controllo della Serenissima – la miniatura del monte Negrino fu portato a Venezia per consentire ai giudici di deliberare sui confini.

Scrive Gregorio Brunelli nel suo Curiosi trattenimenti contenenti ragguagli sacri e profani dei popoli camuni (1698): «Era cosa curiosa da vedere quella ingegnosa macchina, che mostrava tutte le cascine, strade, prati, pascoli e seni del monte con la distanza delle terre di Scalve e Borno. Riconosciuto e trovato il giusto confronto, si mandò a Venezia il modello racchiuso in un cassone serrato con due chiavi, che stavano appresso i Deputati delle due terre.»

La contesa ebbe termine solo nel cuore dell’Età Moderna: il 2 luglio 1634 con l’apparizione della Madonna a Colere. Solo allora le due comunità cominciarono a costruire un dialogo.

Il compromesso siglato nel 1682 tra le comunità di valle Camonica e Scalve pose fine a una delle contese più aspre di sempre.