Se diamo uno sguardo ai numeri, la battaglia di Solferino e San Martino balza agli occhi come una delle più importanti della storia dell’Ottocento, seconda soltanto a quella di Lipsia del 1813.

Siamo nel 1859, per la precisione il 24 giugno, quando gli opposti schieramenti (autriaci-veneti e franco-sardi), si scontrarono sulle colline a sud del Lago di Garda nel contesto della Seconda Guerra d’Indipendenza. Furono 300.000 i soldati che presero parte alla battaglia: 12 ore di inferno che provocarono all’incirca 30.000 morti.

Numeri impressionanti per una battaglia ottocentesca che, per quoziente di perdite, superò quella di Waterloo.

Spettatore involontario di questa carneficina fu Henry Dunant, uomo d'affari svizzero sceso in Lombardia per incontrare Napoleone III - in quel momento impegnato nel comando delle truppe francesi. 

Una faccenda d’affari lo porta a Castiglione delle Stiviere il 25 giugno e qui rimane bloccato fino al 30, impegnato nell’assistenza ai feriti.

Scrive Dunant (i suoi diari sono stati pubblicati nel memoriale Un Souvenir de Solferino):

Nell’Ospedale e nelle chiese di Castiglione sono stati depositati, fianco a fianco, uomini di ogni nazione, francesi, austriaci, tedeschi e slavi, provvisoriamente confusi nel fondo delle cappelle. Non hanno nemmeno la forza di muoversi nello stretto spazio che occupano (…). Mi diceva qualcuno di questi infelici “Ci abbandonano, ci lasciano morire miseramente, eppure noi ci siamo battuti bene!”. Malgrado le fatiche che hanno sopportato, malgrado le notti insonni, essi non riposano e, nella loro sventura, implorano il soccorso dei medici e si rotolano disperati nelle convulsioni che termineranno con il tetano e la morte.

Se l’impressione della devastazione fu grande, altrettanto significativa è la stima tributata alle donne di Castiglione che curarono tutti i feriti senza distinzione di nazionalità.

Da quell’esperienza, con il motto “Tutti fratelli”, nacque la Croce Rossa Internazionale.