Il quadrilatero dell’arrosticino tocca quattro vertici: Civitella Casanova, Villa Celiera, Carpineto della Nota e Montebello-Farindola. Da questo angolo d’Abruzzo l’arrosticino di pecora ha conquistato tutta la regione diventandone emblema, elogio dello stile di vita pastorale, gemma delle montagne selvatiche, business agropastorale e godereccio.
Il vero arrosticino abruzzese nasce, secondo la leggenda, in una fredda notte d’inverno.
Alcuni pastori, costretti a lasciare il tratturo che stavano percorrendo in direzione Civitella Casanova, trovarono un riparo di fortuna e furono costretti a cibarsi delle loro pecore, cuocendo la carne sui carboni ardenti, a pezzetti.
Vennero successivamente gli spiedini e il consumo tradizionale durante le fiere e le feste.
Il vero arrosticino abruzzese di compone di carne di pecora adulta (più l’animale è vecchio più il sapore della carne è robusto) combinati secondo la seguente formula: 3 cubetti di carne e 2 di grasso.
Di fondamentale importanza è la cottura, arte raffinata, che – per essere perfetta – dipende tanto dalla temperatura del fuoco quanto dall’abilita del cuoco.
Dimenticata la brace di tizzoni, la cottura dell'arrosticino prevede l'impiego di uno strumento specifico, imprescindibile: un braciere di forma allungata, a canalina, detto la furnacell.
E bene se i forestieri vorranno recarsi dai (molti) rivenditori specializzati in questo street food di campagna.
L’abruzzese l’arrosticino se lo cuocerà da solo, strenuamente, controllando la salagione perfetta e sudando il proprio sudore di fronte alla brace rigirando, affumicando tra un sorso di birra e l’altro, per placare l’arsura.
L’operazione è conviviale, è più di un barbecue, è l’arte del mosaico di carne che porta in scena il suo spettacolo ogni domenica nelle tante aree attrezzate che punteggiano le belle montagne d’Abruzzo.