Polesine è il nome della lingua di terra pianeggiante che degrada, da Ovest a Est, e che arriva a toccare il mare, disegnata entro i confini stabiliti da Adige e Po.
Un territorio formato da un’infinita successione di alluvioni che vedono alternarsi il deposito di argille e sabbie. Se il disordine delle acque non scoraggiò gli antichi – qui etruschi e romani svilupparono felici aziende agricole – il periodo tardoantico e barbarico fu contraddistinto da una serie di importanti alluvioni che sconvolsero la geografia rendendo il luogo inospitale.
Solo dopo il Mille questa terra aspra, fatta di isole mobili nella corrente, trovò un nuovo assetto e vide la nascita di centri abitati importanti.
I paesi del Polesine portano scritte sui muri e per le strade le memorie dei guasti delle acque.
Un monumento o una tacca incisa su uno stipite ricordano il livello di alcune tra le molte rotte che portarono il Po a disperdersi sulle terre degli uomini.
L’edilizia, costantemente rinnovata, appartiene quasi esclusivamente al Novecento, fatto salvo qualche solitario superstite: un fienile ottocentesco, una villa veneziana.
La storia e le stratificazioni del paesaggio giustificano la secolare condizione di depressione economica dell’area, riscattata solo nella seconda metà del secolo scorso.
Dei borghi, affacciati su fossi e canali, rimane il ricordo delle bettole, delle osterie quasi marinare, dei muri mangiati dall’umidità.
I nuovi paesi, ben serviti e organizzati, srotolano al sole la selvaggia urbanistica del boom economico.