Poco più grande di certe residenze principesche, Pomponesco si raccoglie attorno alla sua superba piazza gonzaghesca secondo una pianta poco mutata dai tempi dei duchi di Mantova.
Ai caseggiati di nobile aspetto, distribuiti lungo il perpendicolo di vie, succede quasi immediatamente l’orto e la campagna, fino al fiume che scorre poco distante.
La prospettiva è grandiosa e straniante al tempo stesso: l’occhio corre alla ricerca di un fuoco che possa giustificare un impianto urbano tanto sontuoso – un palazzotto, un castello – ma nulla trova.
Una dimora di delizie, a dire il vero, esisteva, ma è andata distrutta e oggi, nel quadrilatero di vie, restano a fronteggiarsi chiesa e municipio, circondati alcune belle dimore ottocentesche. Percorrevano i portici di questa piccola capitale padana il volgo e un pugno di ricche famiglie, se non aristocratiche, certamente possidenti.
Tra queste merita di essere citata la comunità ebraica che a Pomponesco, come in tante città della nostra pianura, aveva solide radici ed era fulcro di molte attività commerciali.
Alberto Cantoni è il rampollo di una di queste: scrittore e viaggiatore, oltre che amministratore dei beni di famiglia. Il suo "umorismo riflessivo" fu apprezzato da Pirandello ma la sua fama di autore non veleggiò mai verso l'Olimpo della grande letteratura nazionale.
Spese la sua età matura nella sua fiorente Pomponesco, cittadella ideale circondata dalle vigne maritate, e visse il mondo dei contadini.
Un’affinità che risulta sufficiente a bollarlo come scrittore di provincia e che tuttavia consente al lettore avveduto di evadere dal quadro monocorde della narrativa italiana di fine Ottocento (tolti Verga e Fogazzaro).
Dispersivo e, a tratti, dissonante lo stile del Cantoni tratteggia la personalità di questo ombroso scrittore di provincia.
Il suo corpo riposa a Pomponesco, nel piccolo cimitero ebraico che ospita i membri della famiglia e qualche dimenticato membro della comunità.
I loro nomi sulle lapidi sono stati cancellati dalla pioggia.