Il complesso monumentale delle sette chiese di Santo Stefano, a Bologna, è senza dubbio uno dei più interessanti della città.
Edificato sulla base di un antico tempio pagano, fu concepito come copia del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Ampliamenti e riedificazioni costanti avvenute nel corso dei secoli hanno dato corpo all’odierna struttura: un complesso architettonico di chiese unite tra loro da camminamenti e chiostri che nell’insieme dovrebbero ricostruire simbolicamente i luoghi della Passione di Cristo.
Sulla piazzetta si affacciano i prospetti delle chiese del Crocifisso, del Calvario, e dei SS. Vitale e Agricola, splendidi esempi di romanico emiliano.
L’origine del complesso risale al 429 d.C., quanto San Pietro appare in sogno a Papa Celestino I e gli intima di consacrare Petronio vescovo di Bologna.
Il progetto di replicare il Santo Sepolcro in terra emiliana prende dunque avvio con la trasformazione di un antico tempio dedicato a Iside – edificato attorno all’anno 100 da una ricca matrona bolognese – in battistero cristiano.
Il colonnato circolare della struttura originaria viene inglobato all’interno delle mura perimetrali e sormontato da una cupola.
Durante il vescovato di Petronio al battistero si affiancano la chiesa di San Vitale e il Martyrium e dopo il 737 – con l’arrivo dei Longobardi – si aggiunge una quarta chiesta dedicata a San Giovanni Battista.
Dopo l’anno 1000 i Benedettini prendono il controllo della situazione operando ulteriori aggiunte: monastero, campanile, chiostro e una nuova chiesa denominata “del Cenacolo”.
La vicenda diventa interessante e quasi degna di Dan Brown verso la fine del 1300 quando viene rinvenuta sotto il pavimento dell’attuale chiesa dei Santi Vitale e Agricola, una tomba romana recante nitidamente inciso il nome proprio “Simone”. Facendo un rapido due più due, i bolognesi non esitano a pubblicizzare il ritrovamento della vera tomba di San Pietro, collocando il sarcofago sull’altare maggiore e attirando un numero crescente di pellegrini, scatenando le ire di Roma.
La reazione di Bonifacio VIII fu durissima: sconsacrate la chiese, reinterrato il sacrofago in luogo segreto, danneggiata la struttura del complesso architettonico per agevolarne la rovina.
Solo settant’anni dopo, con Sisto IV, le sette chieste di Santo Stefano saranno riaperte al culto e dedicate ai Santi Vitale e Agricola, due protomartiri bolognesi “doc” uccisi dalle persecuzioni di Domiziano.
I secoli tra il 1400 e il 1800 furono propizi: il complesso fu rigenerato e raggiunse il suo massimo sviluppo conservando la più antica e presumibilmente fedele ricostruzione del Santo Sepolcro in terra d’occidente (ispirato ovviamente all’originale, oggi perduto, eretto a Gerusalemme da Costantino nel IV secolo).
Di grande interesse, custodito nella chiesa della Trinità o Martyrium, il grande gruppo ligneo dell’Adorazione dei Magi con statue a grandezza d’uomo. Si tratta del più antico presepe conosciuto al mondo composto da statue a tutto tondo, scolpite in tronchi di tiglio e olmo probabilmente nell’ultimo decennio del XIII secolo. L’opera rimase senza coloritura fino al 1370 quando il pittore bolognese Simone dei Crocifissi realizzò la ricca policromia e doratura in stile gotico riemersa grazie al restauro del 1981.