In questi pomeriggi brumosi che rendono impenetrabile alla vista la Pianura Padana, ci rechiamo a Ravenna per un tuffo nell’oro della Basilica di San Vitale, una tra le massime opere dell’arte paleocristiana e bizantina.
La sua costruzione iniziò nel 525 – sotto il dominio di Teodorico – e fu completata dall’arcivescovo Massimiano nel 547 in una Ravenna già riconquistata dall’imperatore Giustiniano I.
Patrimonio dell’Umanità Unesco dal 1996 il complesso architettonico si distacca completamente dalla tradizionale struttura longitudinale delle altre basiliche ravennati. La pianta è a base ottagonale con la cupola inglobata e incastonata nel tiburio. Ogni facciata è sostenuta da imponenti contrafforti.
Ma è l’interno il vero obiettivo del nostro viaggio per un’immersione nell’oro di Bisanzio.
Il deambulatorio ottagonale a due piani, la modulazione dei volumi mossi da un susseguirsi di esedre e arcatelle, espande lo spazio e contribuisce ad alleggerire la massiccia struttura.
Protagonista indiscussa è la luce che penetra nel vasto ambiente da diverse angolazioni e che si riverbera nei cromatismi degli splendidi mosaici.
La decorazione musiva è concentrata nell’area del presbiterio. Sull’ampia superficie del catino si dispiega una teofania, ovvero un’apparizione del Divino. Protagonista indiscusso è il Cristo Pantocrator tanto caro alla tradizione orientale che porge, sospeso su un globo azzurro, la corona trionfale a San Vitale. Tutto attorno è un trionfo di simbologie e vicende bibliche che vedono, immobilizzati nel rigido stigma orientale, i grandi personaggi dell’Antico Testamento.
I nostri mosaici favoriti, tuttavia, sono collocati al di sotto delle lunette dell’ordine inferiore e posti uno di fronte all’altro: raffigurano lo splendore della corte dell’Imperatore Giustiniano e della moglie Teodora, simboli dell’armonia tra storia civile ed ecclesiastica.
Pur nella rigidità bidimensionale che caratterizza l’arte dell’età giustinianea, le figure del corteo imperiale ci restituiscono con dovizia di particolari i dettagli dell’abbigliamento e le fattezze di ogni singolo personaggio, con uno sforzo verso il realismo solo parzialmente contraddetto dall’aureola posta dietro il capo di Giustiniano e Teodora, tesa ad enfatizzare il loro ruolo semi-divino.
La coppia imperiale reca doni a Cristo (nella fattispecie una patena d’oro e una coppa tempestata di gemme) in una delle più belle rappresentazioni dell’Oblatio Augusti et Augustae, ovvero dell’offerta che gli imperatori bizantini facevano alle principali chiese del territorio.
In questo vasto mondo sacro si respira tutta la densità di 1490 anni di storia, lontana dalle turbolenze del mondo, nella ieraticità delle figure incastonate nell’oro.