Un tempo, chi scendeva lungo la statale che da Torino corre verso Savona o Imperia, trovava soddisfazione in una tappa strategica ad appena una trentina di chilometri dalla partenza.
A Cavallermaggiore, complice una cospicua tradizione nell’arte del latte e dei formaggi, era d’obbligo la consumazione pacata di un gelato in uno dei bar del centro.
All’ombra della torre dell’orologio e delle cicogne che ne inselvatichiscono il profilo con il loro nido, la vita placida della cittadina di provincia scorre senza sussulti, oggi come nelle centinaia di anni che hanno segnato la vita di questa comunità agreste e mercantile.
Il nome stesso, Cavallermaggiore, sembra derivare da Cavallarium Maius o Cavallar, un toponimo tardoantico legato al culto del cavallo da lavoro (a differnza dell'equus, il cavallo da guerra, da viaggio o da corsa).
Ciò indica che la zona già in epoca Romana era vocata totalmente all’attività agraria e tale rimase per i successivi 20 secoli.
Ci piace immaginare (il sempre amato e mai dimenticato) Gianmaria Testa sporcarsi i baffi nell’accurata degustazione di un gelato, avvolto dall’infiammata estate cavallermaggiorese.
Era nato qui sul finire degli anni ’50 in una famiglia di agricoltori in cui era vivo l’amore per la musico e il canto. Autodidatta, scelse la chitarra come strumento d’elezione e cominciò a comporre non appena appresi i primi rudimenti. Ferroviere per storia e vocazione, cantautore nel cuore, artista raffinato, ci piace immaginarlo mentre passeggia, mani in tasca, sotto i portici antichi e freschi della sua città natale.