Che Emilia e Romagna siano due realtà distinte, seppur sorelle, è cosa nota.

La questione tuttavia si fa spinosa quando ci si chiede chi sia considerato romagnolo e chi no, e dove effettivamente si collochino i confini di queste due realtà territoriali.

Già nel Medioevo, la Romagna era considerata una regione separata. Dante Alighieri, che conosceva bene la Romagna, la menzionò nella Divina Commedia (Purgatorio 14.91), delineandone i confini come “tra ‘l Po e ‘l monte e la marina e ‘l Reno”. Documenti papali dell’epoca nominavano la Romagna come regione amministrativa, e uno scritto del 1371 elencava le città appartenenti, includendo anche Bologna e Ferrara.

Non sorprende che la Chiesa volesse includere queste due città nella “Legazione di Romagna”, segnando così il confine delle sue terre e riaffermando la loro appartenenza al papato. Tuttavia, i bolognesi e i ferraresi, almeno oggi, non si considerano e non vengono considerati romagnoli.

Il confine naturale tra Romagna ed Emilia corre lungo il fiume Sìllaro: ciò che sta a est del suo corso è considerato romagnolo mentre le città sulla sua sponda occidentale, a partire da Castel San Pietro Terme, rientrano nell'Emilia. 

Storicamente esiste una regione che, seppur a distanza di centinaia di anni, demarca una sottile differenza culturale tra le due subregioni.

Se l’Emilia fu travolta e trasformata dall’ondata barbarica che interessò la penisola alla caduta dell’Impero Romano; la Romagna rimase saldamente nelle mani dell’Impero di Costantinopoli. Da qui la forte caratterizzazione “romana”, non barbarizzata, a differenza delle terre occidentali, investite dalla furia longobarda.

Ecco che il Sìllaro, un tempo confine lungo il quale si ammassarono gli eserciti e oggi placido corso d’acqua protagonista delle gite domenicali, regala alla storia il suo piccolo, ma significativo, contributo.