La più compiuta e teatrale spiegazione di festa popolare e agraria dei comuni dell’Agrigentino è senza dubbio quella in onore di S.Calogero.
In un modo assolutamente ascetico e violento il Santo diventa una volta l’anno per i suoi cittadini non più una figura spirituale, ma presenza viva, materica, che possa recare beneficio a tutti coloro che chiedono un’intercessione speciale per la salute interiore e corporale.
Ed è proprio il “contatto fisico” che diventa la caratteristica della festa di Agrigento quando intorno a mezzogiorno, terminata la S.Messa, il santuario si accalca di una folla strabocchevole che al grido di Viva San Caloriu, si impossessa furiosamente della statua del Santo per condurla sul sagrato del tempio dove attende di essere omaggiata da altrettanti fedeli.
Essi in preda a quell'istinto soprannaturale, tipico di festa rurale, salgono in massa sul fercolo per abbracciare, baciare e asciugare il volto nero e sudante del loro protettore, invocando con grida e pianti ogni implorazione; ognuno di essi interloquisce cosi a modo proprio un rapporto strettamente personale e confidenziale con il Santo, quasi come se si rivolgesse ad un fratello o a una persona fidata.
La devozione per S.Calogero resta comunque connessa alla tradizione agricola e al ringraziamento per il raccolto abbondante che si concretizza con il continuo getto di pane votivo durante la frenetica processione, in ricordo del periodo di pestilenza quando la gente lanciava dalle finestre il loro pane al Santo in cerca di cibo per gli ammalati. Tra l’incalzante suono dei tamburinai che precedono il corteo, il fercolo del Santo si ferma continuamente tra urti e sbandate per accogliere questa incontrollabile massa di fedeli e ripartire al segnale del capo fercolo, percorrendo i vicoli più stretti e antichi del quartiere arabo della città.